Ho scritto un capitolo in un libro collettivo sul coaching. Il titolo del mio capitolo è: Andare in carrozza. Una via narrativa per il coaching. Sta in Paolo Bruttini e Barbara Senerchia, Coaching: come trasformare individui e organizzazioni, Wolters Kluver, 2015.
Insisto sempre nel cercare di dire le cose in italiano. Non potevo tirarmi indietro questa volta. Riprendo nell’articolo la storia di come si è arrivati a questa denominazione. Storia che avevo già proposto, in breve, nel libro Nuove parole del manager. Tutto risale al 1500, e ad un piccolo centro dell’Ungheria, dove si costruivano carrozze. Dunque non ho niente in contrario ad accettare il prestito dall’inglese, coach, ma la storia permette di proporre un modo di dire italiano: cocchiere.
Se abbiamo un buon cocchiere, una buona guida, un maestro capace e allo stesso tempo rispettoso, anche di fronte alle difficoltà della vita e della carriera, andiamo, come si dice, in carrozza.
Andando oltre la parola usata per denominare la figura professionale, sostengo nel capitolo che i coach, più che depositari di un metodo, di una competenza sofisticata e speciale, si qualificano per l’esercizio di un’arte molto quotidiana, semplice: l’arte di ascoltare narrazioni.
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