Nel 1993 ho fondato, assieme a Giovanni De Mauro, la testata settimanale “Internazionale“.
“Internazionale” trovava modo di collocarsi sul difficile mercato dell’editoria periodica settimanale in virtù di un progetto editoriale originale. I contenuti sono costituiti dalla traduzione in italiano di articoli apparsi sulla stampa mondiale. Ciò permette di operare senza una redazione giornalistica tradizionale (e senza i tradizionali costi di una redazione). L’iniziativa si giovava inoltre dei vantaggi di una organizzazione snella, tesa a sfruttare i vantaggi offerti dalle tecnologie.
Della Casa Editrice (Internazionale s.r.l.) sono stato Amministratore Delegato fino al novembre 1994, oltre che socio. Inizialmente le quote erano distribuite tra Francesco Varanini, Giovanni de Mauro, ed Editoriale Progetto, facente capo a Luigi Abete, socio di maggioranza.
Ho abbandonato l’iniziativa per divergenze sulla linea editoriale. La divisione del lavoro tra Giovanni De Mauro e me prevedeva per lui il ruolo di direttore, e per me quello di un amministratore delegato. E’ certo più divertente fare il direttore. Ma sopratutto, l’amministratore delegato si ‘diverte’ solo se si trova nelle condizioni di ottenere in tempi non troppo lunghi risultati visibili nei bilanci. A mio modo di vedere, le scelte editoriali del mio socio lo impedivano.
Di seguito, propongo un testo che scrissi una domenica, il 6 febbraio 1994, come introduzione a un opuscolo contenente i principali risultati di una ricerca di mercato,. La ricerca presentata nell’opuscolo, condotta dall’Istituto Explorer, era destinato a sostenere la vendita di spazi pubblicitari. Dalla ricerca risultava che i lettori di “Internazionale” (erano usciti fino all’ora quattro numeri) erano caratterizzati da un alta scolarità, ed erano fortissimi lettori di quotidiani e libri.
Un lettore ha risposto al nostro questionario che Internazionale è ‘la prima rivista del dopo crisi’. Non mi pare una critica cattiva, ma una osservazione acuta, e anzi, un grande complimento.
Che l’aria di crisi si respiri anche nel mercato della stampa periodica è un dato di fatto noto a tutti: calano la diffusione, i fatturati pubblicitari, le foliazioni, aumentano i prezzi di copertina.
Ma chiediamoci: cosa offre la stampa periodica italiana ai lettori? E che rapporto esiste tra questa offerta e il mutamento in atto nei valori culturali e politici?
Se i valori di riferimento cambiano, i criteri di scelta del pubblico non possono non modificarsi. ‘Crisi’ sta per ‘scelta’, ‘decisione’, e l’etimo rimanda all’atto del distinguere tra diverse alternative. La crisi è un interrogativo che chiede risposta. E sarà una vera risposta solo se sarà creativa. Chi non innova, e affronta la crisi seguendo modelli e istruzioni desunti da crisi precedenti, ne uscirà per ultimo.
Eppure la stampa periodica italiana resta sconfortantemente uguale a se stessa. Settimanali e mensili paiono clonati l’uno sull’altro. Dirigenti e giornalisti migrano da una casa editrice all’altra replicando gli stessi comportamenti. Le poderose strutture di marketing che appesantiscono di costi grandi e medi editori replicano azioni standard apprese alla scuola del marketing dei prodotti di largo consumo: come appunto se un giornale potesse essere venduto come un detersivo – anzi, come se un periodico fosse un detersivo, un prodotto nella sua sostanza indifferenziato, e quindi ‘fatto apparire’ diverso dal suo simile solo in virtù di artifici pubblicitari e di azioni promozionali.
Considerare un giornale merce, ‘apparenza vendibile’ ci pare approccio perdente in partenza. Ma perdente, in particolare, nel particolare momento in cui ci troviamo. Un giornale trova spazio per la sua ‘anima’, per la sua ‘aura’. E anima e aura che non possono essere costruite nel laboratori dell’advertising, non possono essere surrogate dai gadget.
Il discorso non è solo socio-culturale, ma innanzitutto economico. L’industria editoriale è vittima di un circolo vizioso che la impoverisce e al tempo stesso la rende schiava dei grandi numeri: gli alti costi di struttura che oberano le case editrici possono essere coperti solo da prodotti in grado di mantenersi su alti livelli diffusionali; ma l’alto livello diffusionale può essere mantenuto solo attraverso grandi investimenti in campagne di lancio, in promozioni, in abbonamenti scontati e accompagnati da favolosi omaggi – e tutto ciò è ovviamente fonte di nuovi costi…
Se la situazione è questa, pensiamo che esistano grandi opportunità per editori minuscoli, ma nuovi. La Casa Editrice di Internazionale si è consapevolmente data una organizzazione ‘snella’ e coerente con il prodotto: per esempio, nessuna sede lussuosa, ma largo uso di tecnologie in redazione. E’ una macchina costruita per lavorare a regime con costi nettamente pi— bassi delle medie di mercato.
A bassi costi, ovviamente, corrisponde un basso punto di pareggio: il criterio per valutare il successo economico di una iniziativa non è astratto ed univoco. Il grande investimento non è una necessità: è una inevitabile conseguenza delle dimensioni dell’organizzazione e di uno stile di gestione forse superato. Ma non è certo garanzia di successo. Lo provano il lancio e la tranquilla presenza sul mercato di Internazionale, obiettivi raggiunti.
Tutto questo, crediamo, vale anche per il mercato pubblicitario. Anche i Clienti, le Agenzie, i Centri media sono vittime di questo mercato ridondante e pletorico: è sempre più difficile ‘bucare la pagina’, ‘farsi vedere’ su un magazine sovraffollato di annunci – e si vedono costretti a cercare la visibilità attraverso la quantità (grandi budget, gran numero di pagine acquistate). Qui, di nuovo, Internazionale mostra la sua originalità: offre all’inserzionista la possibilità di rivolgersi a un target di altissimo livello, attento alla lettura, e quindi disposto a recepire con attenzione un messaggio intelligente. Ma sopratutto offre un contesto unico nel panorama della stampa periodica italiana: un contesto fatto di testo impaginato con grande rigore e di selezionate immagini in bianco e nero, all’interno del quale il colore è riservato agli inserzionisti. Ma non solo. Internazionale offre la garanzia del basso affollamento: alla pubblicità sono riservate le tre pagine di controcopertina, e non più di quattro delle 48 pagine di foliazione.
Insomma, per chi ancora non lo conosce, ecco Internazionale: per tremila lire quarantotto pagine di ‘finestra sul mondo’. Un prodotto che non vuole nascondere i suoi limiti (e del resto, paga forse oggi ostentare ricchezza e potenza?); ma anche un prodotto unico, un prodotto, speriamo, con un’anima e una sua piccola, modesta ma inconfondibile aura.